mercoledì 29 giugno 2011

Giuditta e Oloferne, Artemisia Gentileschi.

Suggerito dalla Suster vorrei provare a illustrvi uno dei tanti dipinti e pittori che mi hanno sempre affascinato da che amai quest'arte ed ho scelto Artemisia Gentileschi, sostanzialmente una Cavaraggista.  


A rigor di logica, pensandoci bene, sarebbe stato interessante confrontare due Giuditte simili, come impostazione e senso del colore e della luce, quello appunto del Caravaggio e quello di Artemisia. Ma siccome io non sono una critica d'arte ed è passato un casino dal tempo in cui sembrava che queste cose potessero far parte del mio futuro e che mi sembra un tantino banalotta come idea, saltiamo la cosa a piè pari. Anche se comunque un minimo di confronto sarà inevitabile.



Ma teniamo conto di una cosa: Artemisia ha dipinto Giuditta e Oloferne con una forza che Caravaggio difficilmente potrà mai avere, c'è una spinta emotiva che lui, sanguigno e pure un tantinello fumino (che sarebbe poi un alleggerir la pillola), non poteva avere a men che qualcuno non se lo fosse sgroppato senza chiedere il permesso. Artemisia subì uno stupro da un collega e amico del padre e non faccio fatica a immaginare cosa non abbia passato una ragaza che, nonostante la presenza paterna a incoraggiarla nell'arte, si ostinò a frequentare un ambiente "da maschi" senza essere nè una modella nè una signora altolocata che comunque avrebbe ricevuto lezioni a casa e non certo in una bottega sulla strada.
Sia ben chiaro che non tutte le pittrici che son giunte a noi dal rinascimento in poi - e ve ne son state- erano tutte figlie di pittori o signorine bene debitamente istruite ma a mio parere e per quel poco che so, Artemisia si stacca da costoro quanto meno per una impronta personale che difficilmente lascia indifferenti, non poche pittrici furono anche imprenditrici di sèstesse -come lei- e ebbero una vita "additabile" visto anche l'ambiente ed è per questo che reputo più interessante e apprezzabile lo stile e quel che che solo lei sembra avere. Questo "che" è una impronta emotiva che ci narra della pittrice stessa.
E si vede, che rabbia cova in una ragazza che poi è cresciuta con l'ostinazione di volersi imporre come pittrice, imprenditrice di sè stessa, amante (ebbe comunque un paio di figli senza sposarsi) e rifiutando un matrimonio riparatore che quanto meno avrebbe salvato la faccia della famiglia e certo non la sua. 
Se guardo bene il dipinto noto che Giuditta è una donna robusta, soda che potrebbe dirci -nei giorni che le girano giusti- "Mo li gradisse dei tortelini fatti da queste manine?" 
Per chi non lo sapesse, brevemente la storia di Giuditta è che, giovane vedova in lutto decise di andare a trovare il gigante Oloferne che assediava non ricordo quale città israelita, si mise in ghingheri e si fece accompagnare dalla serva alla tenda del gigante dove lo fece mangaire e ubriacare, una volta addormentato prese una spada e gli mozzò il capo. Da notare che nelle sacre scritture la giovane vedova non seduce sessualmente il nemico come spesso avviene nella maggioranza dei dipinti che ce la mostrano coraggiosa si ma avvenente e seduttrice, il gesto suo non poteva essere fatto da una donna sessualmente attiva e che va a trovare un uomo sola, doveva essere puro per essere ricordato. E notoriamente, sebbene avvenenti, le vedove vivevano da quasi suore a meno che non si decidesse per un matrimonio da parte qualche maschio di famiglia.
Non c'è nulla di tutto ciò nella Giuditta di Artemisia: innanzitutto c'è una donna che veste preziosamente ma non eccessivamente ed è una donna robusta, non è una principessina di corte, questa ha minimo lavorato nei campi magari non ha fatto figli, ma un paio di cose le sa. E quando guardo la sua espressione così tesa nel gesto "trucido" che sta compiendo a me viene in mente una che è abituata a scannare il maiale o a castarlo, a governare le bestie e far filare dritti i figli che sennò gli rompe il mestolo sulla capoccia! 
Artemisia non ci fa vedere il prima ovvero la fanciulla che timorosa ma decisa mentre vestita di tutto punto e con una spada "à la page", volge lo sguardo alla città sicura della sua vedovanza; nè ci fa vedere il dopo, la testa di Oloferne nella cesta retta dalla serva (vecchia o appena più grande di lei) e Giuditta che sembra come sollevata del gesto quando addirittura non erotizzata, come se avesse avuto un orgasmo. Artemisia ci fa vedere il momento in cui la testa viene tranciata ed in questo -che per certi versi non è nemmeno così nuovo nella pittura- è più sanguinoleta, più cruda del Caravaggio stesso che aveva messo, a mio parere un minimo di leziosità ed un broncio da ragazzina. No, Artemisia ci fa vedere il momento in cui la lama è già dentro il gigante s'è svegliato colto di sorpresa che già sprizza sangue e Giuditta inizia a tranciare ed ha trovato muscoli tesi e duri come gomene magari anche la carotide. E' aiutata dalla serva, quasi coetanea, che sembra letteralmente montare sul corpo dell'uomo pur di tenerlo fermo, tutte e due si son rimboccate le mani come due brave donne pronte ad andare a preparare il castrato per capodanno! "Mo dai che son robe serie, queste!"
C'è la voglia di fare quel gesto che spinge Aremisia che ovviamente non ci trova nulla di erotico ma solo un desiderio di scannare un uomo che si è spinto troppo in là. Questa non è una qualche amazzone dagli occhi scintillanti di trasporto erotico per aver fatto fuori un uomo, questa non è una donna tradita o una fanciulla che s'è ritrovata i sogni d'amore infranti dopo una violenza: questa è una donna che sa che significa esser gettata dalla parte del torto perchè "se l'è andata a cercare" che ha dovuto sopportare l'umiliazione di chissà quanti interrogatori che tedevano più a svelarne probabili colpe che l'innocenza, che s'è trovata tutto il mondo addosso solo perchè dipingeva. Questa è una donna che grida rabbia, attraverso l'unica cosa che non l'ha tradita, la pittura e da cui ne sarà ricompensata lautamente per tutta la vita.

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