domenica 3 aprile 2011

L'Edera, di Grazia Deledda



Per inciso, io sono mezza sarda, quindi scongiuro gli eventuali Sardi di passaggio di non maledire me nè la mia (improbabile) progenie, sino alla fatidica settima generazione, perchè io NON amo la Deledda.
Si, confermo che sia orgoglio e vanto della Ichinussa in mezzo al Mediterraneo e che sia rappresentante di un mondo che -spero- non ci sia più ma io non la sopporto. Non sopporto la donna così sottomessa, questo personaggio che ama anche quando la riempiono di legnate (lo dice lei stessa), del resto la Deledda era di quelle che asserivano la superiorità delle donne sarde in quanto non lasciavano il marito nemmeno quando esso era violento...Non ci vedo niente di così eroico e lo dico tenendo conto del fatto che c'erano altre scrittrici che proclamavano l'esatto contrario della Deledda.
L'atmosfera di questa storia è cupa, pregna di miseria, quando leggo di quelle zone, di quegli ambienti, faccio fatica a riconoscervi il paese dove era nato mio padre, che all'epoca era un piccolo centro davvero dove c'era sopratutto agricoltura e pastorizia ma immagino che l'epoca della scrittrice fosse assai più misera di quella della mia infanzia. La miseria è nera, qui, la povertà e la dignità sono duri come il legno di ginepro e altrettanto difficili da intaccare e le persone si muovono sulla scia di istinti altrettanto forti e duri ma che conducono verso un baratro cupo e distruttivo. La protagonista la immagino perennemente febbricitante ma mai eccitata sessualmente, ritengo che la Deledda -come moltissime dobbe borghesi dell'epoca- ignorasse persino il significato di quella parola, assieme alla passionalità. Quando leggo della protagonista, non riesco che a vedere una persona in totale balia di sè stessa e di emozioni che non sa controllare e che la sbattono quà e là e di un destino che non sà dirigere nè costruire...
I soliti Sardi allegri.

 (Tutto ciò senza negare la capacità della Deledda di raggiungere ciò che ha voluto, scrivere e -suppongo- pubblicare, dal basso di una vita svantaggiata come donna e come persona...)

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